Come dice Pirandello, noi siamo “uno, nessuno e centomila”. Dentro di noi ci sono infiniti mondi, infinite facce di noi che non conosciamo, declinazioni di quell’ essenza unica, quel talento originale, quella pietra preziosa che ci abita e che avremmo il compito di estrarre, amorevolmente e pazientemente, come in un procedimento alchemico. Noi, invece, passiamo la nostra vita ad assomigliare agli altri, a sposare teorie e ideali altrui, usiamo frasi fatte e luoghi comuni, facciamo di tutto per snaturare quell’essere unico che siamo per diventare fotocopie sbiadite di cose già dette, di vite già vissute. Siamo noi stessi a costruire i nostri limiti, a creare schemi entro i quali agire, giudicandoci con severità, ponendoci obiettivi che spesso vanno contro la nostra vera natura. Quanto più soffochiamo e restringiamo il nostro daimon nei luoghi comuni, tanto più diventiamo stranieri a noi stessi e apriamo la porta al disagio e alla malattia.
Se solo, invece, ci osservassimo senza giudizi, dolcemente, e riuscissimo ad accogliere dentro di noi tutte quelle emozioni che si affacciano come le onde di un mare che ci lambiscono, ci sfiorano e lentamente si allontanano, inizieremmo poco a poco a conoscerci, ad uscire dai confini, dai limiti e dai condizionamenti che ci siamo spesso inconsciamente dati, ad avventurarci oltre le colonne d’Ercole del nostro Io per conoscere di noi lati inesplorati. Forse sentiremmo ancora il nostro cuore battere, il nostro sangue scorrere nelle vene, i nostri occhi inizierebbero a vedere cose che prima non vedevano, inizieremmo a percepire profumi che prima non sentivamo neppure… e pensare che un’ape sente il polline ad otto chilometri di distanza e noi invece non sentiamo il profumo di un fiore neanche a mezzo metro! Siamo diventati anestetizzati, siamo sempre più controllati, siamo sempre nei piani alti dei pensieri e della mente, incapaci di emozionarci davvero.
Oltre a quella razionale, dovremmo dunque attingere ad un’altra coscienza, che Gaston Bachelard, filosofo francese, definiva coscienza disattenta o aurorale, una coscienza stuporosa, incantata e magica come quella dei bambini, dove i confini, i limiti si allentano e si dilatano… Dovremmo imparare proprio dai bambini, noi che abbiamo perso quella magia della spontaneità, della spensieratezza, del gioco e della passione! Quando un bambino gioca è completamente presente in quello che sta facendo, quando la mamma lo chiama magari per mangiare lui si sta nutrendo di qualcos’altro di più sottile che lo sta incantando e che lo sta appassionando.
Ma noi siamo appassionati? Siamo ancora capaci di incantarci? Ci sentiamo davvero appagati, completi, realizzati?
Quando nell’antica Grecia moriva qualcuno, si chiedevano se avesse vissuto con passione. Jung stesso affermava che se noi non seguiamo la nostra natura, la nostra vita è sprecata. Per non rischiare, allora, di sperperare quel dono unico e irripetibile che è la nostra esistenza, non ci resta che lasciare spazio e dar voce al nostro talento: che sia vocazione, arte, inclinazione o semplice espressione del nostro essere, non aspetta che di fluire libero dai tanti condizionamenti per regalare alla nostra vita benessere, felicità e salute.