Nella nostra cultura occidentale, il sapere scientifico si è sviluppato seguendo la corrente culturale di estrazione positivista, in base alla quale ad ogni causa corrisponde uno specifico effetto. Anche la medicina ha da sempre intensificato la ricerca della spiegazione delle malattie, indirizzando i propri sforzi sull’individuazione di ipotetiche disfunzionalità ed obiettivabili alterazioni biologiche.
Gran parte della medicina attuale, in funzione della sua eccezionale evoluzione tecnologica e dei risultati che questa ha permesso di conseguire, sembra ancora poco interessarsi dell’aspetto umano sia del medico che del paziente, il primo visto come un supertecnocrate, il secondo indagato spesso solo come una macchina malfunzionante: anche la comunicazione medico-paziente, in questo contesto, sembra limitarsi ai problemi deontologici connessi alla sperimentazione sull’uomo, al consenso informato, alla privacy. Per uscire da questa ristretta visione meccanicistica, è fondamentale andare a recuperare i valori imprescindibili della persona, della relazione, della comunicazione, non solo per ragioni etiche, ma anche per riconoscere la funzione positiva del malato come elemento attivo nel processo di guarigione.
La Medicina Psicosomatica è una corrente di pensiero che ha l’obiettivo di riumanizzare il rapporto medico-paziente, affinché il progresso tecnologico sempre più sofisticato e la proliferazione di specializzazioni sempre più dettagliate non facciano dimenticare o trascurare l’Uomo che vive, con il suo carico di esperienze ed emozioni, dietro le cifre e i referti di una cartella clinica.
L ’uomo, infatti, non è la semplice somma delle cellule, dei tessuti, degli organi che lo compongono, ma è un’individualità unica e irripetibile, una persona nella quale la dimensione biologica è indissolubilmente legata a quella psichica e sociale e intimamente intrecciata con i suoi vissuti esperenziali ed emotivi, la comprensione dei quali consente un ampliamento delle possibilità di lettura del corpo umano, delle sue funzioni e delle sue manifestazioni patologiche, per individuare anche interventi terapeutici più adeguati.
Come ha recentemente scritto il Prof. Umberto Veronesi, la medicina è insieme scienza, arte e magia. La scienza è il pensiero ideativo, l’arte è il saper fare e la magia è la capacità di influenzare psicologicamente il paziente, ed è soprattutto una magia di gesti. Basta pensare a quando un medico entra nella stanza del paziente: i disturbi scompaiono, e se poi il medico sorride e lo accarezza, il malato si sente davvero meglio. I gesti, al di là delle parole, possono lenire la sofferenza psicologica, dare un incoraggiamento, tessere un filo di speranza, anche quando la speranza pare non esserci più.
Il buon medico è quello che sa entrare non solo nel corpo, ma anche nella mente del paziente, sa sviluppare un legame con il suo profondo e condividere con lui il peso psicologico della malattia, senza perdere la lucidità del sapere. Sono convinto che la medicina debba recuperare la sua dimensione umana, perché, come ha scritto il filosofo Umberto Galimberti, «prima di Ippocrate chi erano i medici se non i sacerdoti? Ma se è vero che la scienza poi si distacca dalla religione, non è vero che questo avviene nella mente dei pazienti. Il malato investe il medico di una dimensione sacrale. Quando è sul letto morente gli chiede ancora di salvarlo».
Il presupposto rimane valido: spesso l’uomo, da malato, è irrazionale e la relazione medica deve tenere conto di questo aspetto. Deve trasformarsi in relazione olistica, in cui il medico considera la globalità della persona malata che ha di fronte: corpo e anima, razionalità e irrazionalità. Penso che il vuoto creato dal tramonto del medico-sacerdote vada colmato con un più intenso rapporto psicologico, fatto di condivisione razionale e di empatia reciproca, finalizzato al raggiungimento di quell’alleanza terapeutica tra medico e paziente, presupposto imprescindibile per il buon esito di ogni terapia.
La medicina scientifica ha raggiunto traguardi inimmaginabili fino a pochi decenni fa. E’ indispensabile, però, un cambiamento nella cultura medica per recuperare il suo spirito originario: il medico deve infatti tornare ad occuparsi dell’insieme della persona.